Centre Georges Pompidou (1971-1977) – Renzo Piano, Richard Rogers

Rue Beaubourg 19, Paris (orari: lun/mer/gio/ven/sab/dom 11-22, chiuso il martedì)

Il progetto per il Centre George Pompidou, da tutti chiamato Beaubourg, nasce dall’ambizione dell’omonimo presidente francese di dare alla città di Parigi un ruolo di guida nella produzione culturale. Fu lo stesso Pompidou ad indicare la destinazione multifunzionale del nuovo edificio, il cui piano prevedeva che potesse essere destinato a: museo, esposizioni temporanee, biblioteca, centro di ricerca sul cinema, musica e arte industriale. Per la sua progettazione venne indetto un concorso (1971), al quale parteciparono 684 gruppi di progettisti, vinto da Renzo Piano e Richard Rogers.

La scelta della giuria, avvenuta peraltro in soli 10 giorni, premiò l’assoluta funzionalità e rispondenza alle richieste del bando del progetto di Piano, lamentando la banalità di troppi progetti e la monumentalità gratuita di altri. Il progetto vincitore era essenzialmente costituito da un grande parallelepipedo di vetro di circa 140 m di lunghezza, 50 m di larghezza e 50 m di altezza. L’idea attorno alla quale si sviluppa il progetto è la visione dell’edificio come un contenitore, capace di adattarsi a funzioni diverse e a un programma destinato a mutare nel tempo: a tale scopo si decise di liberare completamente lo spazio interno, centrifugando all’esterno i sistemi impiantistici, segnalati da colori vivaci, e i percorsi di distribuzione (ascensori, scale mobili, gallerie orizzontali), che diventarono quindi un vero e proprio filtro tra città ed edificio. Ne segue che, percorrendo i vari canali di scorrimento, tutti completamente trasparenti, si cambia continuamente punto di vista in relazione alla città, fino a dominare lo spazio urbano e a godere lo spettacolo dell’edificio. Un’altra conseguenza di questa scelta è la facilità per l’utilizzatore di capire come muoversi nell’edificio ancor prima di esserci entrato. Nonostante la definizione della struttura e del sistema di circolazione restassero invariati anche nel progetto esecutivo, si perse invece la trasparenza e la leggerezza del progetto di concorso, accentuando l’aspetto “macchinista” della costruzione (cambiamenti dovuti in parte a tagli di finanziamenti e a restrizioni imposte dalle norme di sicurezza), completata nel 1977.

La struttura dell’edificio, completamente in acciaio, è costituita da 13 campate, e misura 166 m di lunghezza, 60 m di larghezza e 42 m di altezza.

I solai, completamente sgombri da muri o tramezzi, sono sostenuti da travi in fusione di grande portata (ordite sul lato corto dell'edificio) che, in facciata, sono collegate ai pilastri tramite bilancieri orizzontali, detti “gerberettes”, disposti ogni 12.80 m, e le cui sommità opposte sono trattenute da tiranti verticali in modo da assicurare la perfetta orizzontalità del sistema “travi-gerberettes”. Il solaio vero e proprio è poi costituito da putrelle metalliche e cemento, che collegano tra loro le varie travi principali.

I due progettisti hanno anche dedicato particolare attenzione all’esterno dell’edificio: la piazza costruita di fronte al centro costituisce la superficie di contatto tra lo stesso e la città e, ospitando attività spontanee e non programmate, diventa una vera e propria propaggine del laboratorio culturale. In ultima analisi è importante sottolineare l’aspetto artigianale che i due architetti hanno voluto dare all’edificio, definito dallo stesso Piano come “un prototipo fatto a mano pezzo per pezzo”: dietro al gigantismo si nasconde dunque l’artigianalità. 

Un aneddoto interessante sull'opera riguarda il concorso. L'allora giovane e sconosciuto architetto Renzo Piano, aveva lavorato a questo progetto assieme all'amico e compagno di studi Rogers. Quando si partecipa ai concorsi le buste sono anonime per evitare che qualcuno possa avere preferenze nella scelta se legge il nome dell'architetto. Tuttavia se si spedisce il documento, il timbro di partenza viene segnato sulla busta. Per evitare che la commissione giudicatrice che apre le buste si trovasse di fronte a un progetto spedito da uno studio inglese oppure da un anonimo studio di una cittadina italiana come Genova, Renzo Piano andò direttamente a Parigi a consegnare il progetto.